domenica 25 novembre 2012

Capitolo 2


Continuo la mia storia con la Medicina.
Si era rimasti che lasciavo la specialità di nefrologia.
Ok, comincio a respirare. Ma ora che faccio? Non avevo grandi alternative; dovevo in qualche modo tenermi buona la laurea e farla valere qualcosa. Mi restava la Specialità in medicina generale (necessaria per poter fare il medico di famiglia un domani), oppure solo guardie mediche, oppure entrambe, oppure il corso 118 per lavorare in emergenza sulle ambulanze. Oppure marchette in giro, tipo lavorare a tempo determinato in case di cura private o in strutture termali. Cose alte, insomma. 
Di sicuro avevo deciso di chiudere con le specialità universitarie, che mi avrebbero consentito il lavoro di reparto o di specialista privato.

                                               
Optai per la terza scelta. Feci il concorso per la scuola di medicina generale, lo passai arrivando 50esima su 50 posti (!!) ed entrai in specialità. Poco dopo iniziai anche a fare guardie mediche (che è tuttora la mia unica occupazione, diciamo obbligatoria, dato che è l'unico modo per fare punteggio per un eventuale ambulatorio di medicina generale).
Ok, questi sono i fatti. E io come stavo?

 
                                                 
 Bah, passai dalla rabbia di nefrologia alla noia della medicina generale. Feci i tre anni di scuola nel più totale disinteresse, dettato da un lato da lezioni inutili su argomenti triti e ritriti, dall'altro da docenti poco comunicativi e ormai seduti nella loro professione sicura e di routine, dall'altro ancora da colleghi lontani da me. Lontani per vari motivi. Ve n'erano alcuni neolaureati che venivano a lezione prendendo appunti diligentemente come in prima liceo, pronti a fare interventi, a fine lezione, degni di autorevoli convegni, citando le più recenti pubblicazioni internazionali e sapendo le linee guida a memoria. Discussioni che spesso portavano avanti anche nelle pause caffè. E io, che volevo parlare di quanto stava da culo Simona Ventura la sera prima su x-factor, mi sentivo un'inutile peter pan.
Perchè, parentesi, io non sono mai satata molto avvezza a questa sindrome del fai-vedere-quanto-ne-sai-con-gente-che-ne-sa-quanto-o- più-di-te. Ma è una parentesi, beninteso.
Poi c'erano i più attempati, quelli che si erano laureati negli anni '90 e che, solo dopo anni di lavoro semi-precario (guardie, sostituzioni etc..) decisero di prendere la specialità. Questi erano spesso già genitori e di certo non erano buoni interlocutori per una che aveva voglia di dire cazzate nelle pause lezione o a pranzo. Loro erano tutti concentrai sulla loro attuale attività e su quanto si stessero sacrificando per portare il pane a casa. Per carità, li capivo già di più della prima categoria di ragazzini, ma comunque restava il fatto che la comunicazione tra me e loro era zero. Nel primo e nel secondo caso.


                                                   

Trascorsi questi anni con indifferenza, senza pormi domande e senza più avere una mia idea sulla medicina e sul lavoro che avrei voluto fare. Piano piano l'interesse per la disciplina e la professione medica si affievolivano, senza traumatizzarmi, senza che ciò mi richiedesse riflessioni o confronti. Semplicemente mi stavo dimenticando della medicina.

                                                           
Finita la scuola, mi ritrovai in mano un simpatico cartoncino bianco in A4 con agrifogli e bacche disegnati (mi specializzai il 14 dicembre 2010) che mi autorizzava a professare la fede medica come medico di famiglia.       
E' lì che mi resi conto davvero che non sapevo chi ero, cosa volevo. Ma una cosa la sapevo: della medicina non m'importava più nulla.
Bello rendersene conto a 32 anni. Ottimo inizio per una carriera sfavillante.
Ma perchè? L'esperienza in ospedale mi aveva prosciugato a tal punto da non essere più capace di cercare un mio modo di fare il medico? Forse.
Ma credo che ciò che ha contribuito maggiormente al mio lento e per nulla doloroso distacco dalla medicina sia stato rendermi conto quanto poco valesse tale scienza, di per sè.

                                                
Senza inizialmente esserne consapevole, infatti, mi ritrovai ad assorbire informazioni che riguardavano farmaci, protocolli, ricerche, procedimenti diagnostici etc..in pratica, osmoticamente, il mio cervello teneva input di questo genere (anti-medicina) e rifiutava categoricamente notizie pro-medicina. Forse a lezione qualche prof si era sbilanciato sul tale principio attivo, forse su internet avevo letto distrattamente  di quel ragazzo guarito con non si sa che, forse un amico mi aveva parlato velocemente di un teraputa dalle idee strampalate ma efficaci..non-lo-so!!!! 
Come sia successo non so.

Fatto sta che, passata questa fase di apprendimento inconsapevole, passai alla fase di attacco vera e propria, ovvero iniziai a documentarmi di mia scelta. Credo che il primo pretesto sia stato il vaccino anti-influenza H1N1. I media ci stavano sfracellando le balle, i pazienti erano terrorizzati, io ero confusa, ma subodoravo il tranello. Scrissi una tesina, dopo 20 giorni di convegni e ricerche ben incrociate, affinchè potessi essere il più vicino possibile alla verità. Alla fine non avevo dubbi: si trattava di una bufala colossale e misi nero su bianco tutti i dati da me in possesso. Feci girare velocemente le informazioni, allegando i link in modo da poter leggere con i propri occhi che non si trattava di deliri di una frustrata.

                                                  

Da quella tesina  in poi mi dimenticai completamente della maria universitaria e semi-nefrologa, quella impaurita e scontenta ma ancora speranzosa in una medicina sana. 
No, era tempo ormai di conoscere nuove cose. In primis per capire se si trattava di castelli, privi di fondamento, creati da frikkettoni sessantottini anti-scienza, o se piuttosto in pentola stava bollendo ben più di qualcosa.

 
P.S.: Mi si perdonino queste note autobiografiche. Ci sono incespicata sopra e ora cercherò di uscirne dignitosamente. Col prossimo post concluderò questa sezione di egocentrismo acuto.                                                  

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